Inserisci la tua parola chiave

Syllabus

Clicca sui quadratini sottostanti per visionare i prossimi contenuti

SSPP: UN MODELLO TEORICO CLINICO INTEGRATO

Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicosomatica

La Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicosomatica (SSPP) offre un programma di formazione integrato che permette agli allievi di sviluppare capacità professionali di ragionamento e intervento clinico basate sul modello psicosomatico mente-corpo-relazione.

Gli allievi sono formati da docenti e didatti di formazione psicodinamica e cognitivo comportamentale, secondo un orientamento basato sul costrutto di mentalizzazione in cui si integrano le teorie e le tecniche di matrice cognitivo comportamentale con quelle derivanti dalla psicoterapia psicodinamica interpersonale, arricchito dai recenti sviluppi della ricerca empirica nell’ambito delle neuroscienze affettive, della teoria dell’attaccamento e del trauma, della psicobiologia dei fattori protettivi e di rischio nello sviluppo, a favore di una specializzazione in psicoterapia in cui prevale il modello psicosomatico.

Nel modello psicosomatico l’insorgenza dei disturbi clinici rappresenta la conseguenza di esperienze relazionali disfunzionali sperimentate nelle prime fasi evolutive e successivamente nel corso della vita, caratterizzate da memorie traumatiche non elaborate, che non hanno consentito l’integrazione dell’identità compresa l’identità corporea, e quindi, di una efficace capacità simbolica e riflessiva al servizio della realizzazione individuale e sociale.

Tale orientamento in psicologia clinica si è arricchito recentemente delle scoperte avvenute nell’ambito delle neuroscienze dello sviluppo emotivo, della psicobiologia dell’attaccamento sicuro/insicuro e dei correlati biologici del trauma complesso. (Schore, 2003a/b; Porges, 2011; Panksepp, Biven, 2012).

Sulla base di questo contesto teorico-clinico, il modello della SSPP valorizza in particolar modo il costrutto di trauma evolutivo (developmental trauma), che rimanda a una vulnerabilità generalizzata conseguente da esperienze dolorose associate a vicende relazionali o avvenimenti stressogeni di varia natura avversa o traumatica – intervenuti nel corso dello sviluppo – che la persona non riesce in alcun modo a integrare nel Sé e che incidono severamente sulla sua vita, sul suo funzionamento psichico e sulla sua salute. (van der Kolk, 1994, 1996)

L’incapacità di mentalizzare e di dare un significato simbolico agli eventi della vita è, dunque, l’esito di un processo disfunzionale intervenuto nell’arco evolutivo che deprime la possibilità di sperimentare in forma sicura l’esistenza, e dunque di utilizzare le sensazioni e le emozioni come elementi vitali a sostegno dell’integrazione dell’identità, della relazione mente-corpo e della qualità della vita relazionale. Questa condizione implica per la persona un’esperienza di perdita di continuità e coerenza tra gli stati del Sé (Bromberg, 1998) o di “dolorosa incoerenza” (Meares, 2011). A causa di ciò alcuni di questi stati rimangono dissociati, funzionando come parti scisse che l’individuo non è in grado di integrare nelle rappresentazioni di sé, degli altri e della realtà esterna.

Il trattamento psicoterapeutico, nel modello della SSPP, viene perciò inteso come un intervento maturativo a favore dell’integrazione degli stati del Sé, un processo che permette gradualmente al paziente di trasformare i suoi pattern disfunzionali inconsci e di riappropriarsi di quei processi mentali che sono al servizio della sua crescita personale. Questo processo trasformativo avviene all’interno della relazione tra terapeuta e paziente, nel setting, in cui è possibile mentalizzare nello scambio clinico nuovi significati sul piano umano e favorendo un’esperienza mutativa che si configura, in virtù dell’azione terapeutica e nell’immediatezza del qui e ora della relazione (Lichtenberg, Lachmann, Fosshage, 1996).

Partendo da queste premesse l’integrazione proposta dalla SSPP è resapossibile dal riavvicinamento fra la teoria dell’attaccamento, il modello cognitivo-comportamentale e quello sviluppatosi in ambito psicoanalitico interpersonale dalla teoria delle relazioni oggettuali in poi. Nello specifico questa integrazione è resa possibile dal progredire della ricerca clinica (Schimmenti & Caretti, 2014) che ha portato a:

  • un interesse più ampio per le rappresentazioni mentali del bambino e del genitore;
  • un crescente interesse all’interno della psicoanalisi relazionale per l’osservazione sistematica e la ricerca empirica;
  • una maggiore apertura nei confronti del pluralismo teorico;
  • il riconoscimento all’interno della teoria dell’attaccamento dei limiti di un approccio puramente improntato alle scienze cognitive nel lavoro clinico e un bisogno di cornici teoriche di riferimento alternative per arricchire la ricerca e costruire una teoria rilevante per il lavoro clinico (Fonagy, 2001; Wilber, 2000).
  • la valorizzazione della valutazione psicosomatica all’interno del lavoro clinico.

Tecniche specifiche di conduzione della psicoterapia psicosomatica nel modello della SSPP

1) Ascolto: è la capacità di ascoltare empaticamente il disagio psicologico e somatico del paziente, sia le sue risorse psicofisiche personali, fin dal primo colloquio. La capacità di ascoltare clinicamente è la base della compliance e dell’alleanza terapeutica attraverso cui è possibile la comprensione della domanda di psicoterapia;

2) Sintonizzazione: è la capacità di sintonizzarsi sul conflitto attuale del paziente e sulle sue origini, sui correlati psicosomatici e sulla valenza simbolica del sintomo riconducendolo alle esperienze traumatiche non elaborate e ai pattern relazionali disfunzionali, così come il paziente li sperimenta anche nella relazione con il terapeuta e relativamente allo spazio della cura;

3) Chiarificazione: l’uso della chiarificazione permette l’approfondimento e la comprensione di quei temi che appaiono vaghi, confusi o sconnessi nella nazzazione del paziente, con lo scopo di raccogliere il maggior numero d’informazioni su di lui, per entrare nel dettaglio della sua storia e condividerla nel setting, ma soprattutto per aiutarlo a riconoscere le modalità implicite del suo funzionamento psicologico conflittuale e la loro evoluzione nell’ambito del suo ambiente di sviluppo, al fine di incentivare il processo di mentalizzazione e di regolazione dei suoi processi psichici e psicosomatici;

4) Confrontazione: attraverso questa tecnica vengono considerati due o più elementi propri dell’esperienza del paziente in conflitto tra di loro, che si presentano contemporaneamente (ad esempio il suo desiderio di essere amato in contrasto con la sua chiusura emotiva) e che risultano tra loro contrastanti, sia nella narrazione, sia nell’espressione verbale, sia nel comportamento, sia a livello onirico. Questi elementi conflittuali vengono considerati con il paziente al fine di renderlo cognitivamente consapevole delle motivazioni del suo disagio, con lo scopo di attivare in lui un nuovo processo di significazione e di integrazione del suo mondo interno e del suo rapporto con la realtà esterna;

5) Interpretazione: l’interpretazione è un processo basato sulla sintonizzazione empatica e sul ragionamento clinico al fine di incentivare il pensiero simbolico, la mentalizzazione dei conflitti e le migliori strategie volte al cambiamento e all’individuazione. L’interpretazione è una sintesi narrativa che lo psicoterapeuta formula al paziente, al giusto livello della relazione, al fine di promuovere una diversa conoscenza di sé che favorisce le trasformazioni volte all’insight e a nuove forme di azione;

6) Interpretazione degli stati fisiologici psicosomatici e delle somatizzazioni: è l’interpretazione della disregolazione psico-somatica che promuove nel paziente la consapevolezza e la simbolizzazione della relazione mente-corpo a favore della regolazione e del controllo delle emozioni e degli impulsi, compresi gli stati fisiologici e somatici a essi correlati. Essa ha lo scopo di rendere consapevole il paziente di come gli stati di tensione o di freezing derivanti dall’attivazione delle memorie traumatiche non mentalizzate e dalla disregolazione dell’arousal fisiologico, aumentano la sua vulnerabilità psicosomatica allo stress, diminuiscono la sua resilienza e costituiscono un fattore di rischio per le somatizzazioni, i disturbi funzionali e l’esordio delle malattie (Taylor, 1987, 1997; Porges, 2011).

7) Interpretazione mutativa: è l’interpretazione che avviene nel campo bipersonale (Strachey, 1934; Fonagy, 2011) del setting psicoterapeutico, basata sulla valutazione competente delle dinamiche del transfert, del controtransfert e degli enactment. Questa interpretazione avviene nella relazione con il terapeuta e mette il paziente nella condizione di trasformare i suoi affetti nel momento presente della seduta, sperimentando nuove emozioni/sensazioni nelle rappresentazioni di sé e degli altri.

L’interpretazione è mutativa difatti quando può essere sentita emotivamente da entrambi i partner del processo psicoterapeutico, ed è pertanto sensibile dei livelli di regressione e di maturazione che il paziente realizza di seduta in seduta: si tratta di quell’interpretazione che produce dei cambiamenti dinamici a livello cognitivo comportamentale e all’interno della relazione terapeutica.

Il valore mutativo e trasformativo dell’interpretazione sta nella sua natura interpersonale che contribuisce a trasformare i pattern relazionali disfunzionali del paziente, consentendogli, nel setting, l’integrazione simbolica tra il contenuto proiettato e la motivazione soggettiva della proiezione, e quindi il ritiro della proiezione a favore del cambiamento sia cognitivo che esperienziale.

8) Silenzio: Il silenzio viene utilizzato dal terapeuta essenzialmente con una duplice finalità: come apertura che da libero spazio al paziente per ascoltarne il racconto e la sua espressione psicosomatica, e come risonanza emotiva, non verbale, del flusso interpersonale che interviene nello scenario terapeutico. L’uso del silenzio che diventa attenzione e intensa condivisione umana dei processi mentali e corporei, è il cuore della psicoterapia psicosomatica che costruisce l’intersoggettività, fin dal primo colloquio.

La possibilità di una forma di psicoterapia integrata ispirata dalla teoria dell’attaccamento (attachment informed) e della mentalizzazione, che considera anche le componenti relazionali umane diverse dall’attaccamento è divenuta pertanto concretamente realizzabile (cfr. Wallin, 2007; Slade, 2008; Dazzi & Zavattini, 2011; Lichtenberg, Lachmann & Fosshage, 2011; Heard, Lake & McCluskey, 2012; Liotti, 2015).

Il modello psicosomatico integrato formativo della SSPP, in particolare fa riferimento alle teorie:

  • cognitivo comportamentali (CBT);
  • delle relazioni oggettuali;
  • dell’attaccamento, del trauma evolutivo e dell’alessitimia;
  • della psicoanalisi relazionale e interpersonale;
  • della medicina psicosomatica aggiornata ai contributi delle neuroscienze affettive e della psicobiologia del trauma;
  • della psicoterapia basata sulla mentalizzazione delle difese sensomotorie;
  • della teoria polivagale (Porges) applicata al setting psicoterapeutico;
  • della medicina comportamentale;
  • della ricerca in psicoterapia.

Il contributo della Terapia 
Cognitivo-Comportamentale (CBT) nell’ambito del modello integrato SSPP

In linea generale, l’agire umano nell’approccio Cognitivo-Comportamentale viene generalmente rappresentato come orientato teleologicamente al raggiungimento di scopi e valori soggettivamente rilevanti (seppur in modo non necessariamente consapevole ed intenzionale), anche quando appare bizzarro, palesemente controproducente o difficilmente interpretabile

In qualche modo, dunque, la vita può essere vista, da questa prospettiva, come una continua risoluzione di problemi, potenzialmente fonte di disagio e stress

Tale assunto di fondo è ben rappresentato nel classico e più che noto modello cibernetico del funzionamento mentale e comportamentale indicato dall’acronimo T.O.T.E. (Miller, Galanter e Pribram, 1960)

Il modello di Miller, Galanter e Pribram permette di sintetizzare efficacemente quanto avviene sistematicamente nella mente umana. Il soggetto agente ricerca, infatti, attivamente ed in modo continuativo, seppur non intenzionale, segnali (interni e/o esterni all’organismo) circa lo stato dei suoi scopi o set-poit (TEST). Di fronte alla percezione di un gap tra uno stato percepito ed uno desiderato l’individuo attiva le sue risorse di coping e risoluzione dei problemi (OPERATE), costituite da emozioni (segnali di allarme circa lo stato degli scopi che hanno in sé uno specifico impulso all’azione, mediato anche dall’attivazione di particolari correlati neuro- e psico-fisiologici), condotte motorie (dirette al sé, agli altri o verso il mondo), risposte fisiologiche ed attività mentali (es.: ruminazioni, attenzione e memoria selettive, ricerca di soluzioni al problema, ecc.). Se l’individuo rintraccia una soluzione efficace al gap percepito, lo stato di disagio si esaurisce in tempi brevi (EXIT), altrimenti può permanere anche per tempi prolungati in una condizione di attivazione psicofisiologica intensa e più o meno continuativa (distress), soprattutto se il soggetto percepisce che nella situazione problematica attuale ci siano in gioco scopi di particolare rilevanza soggettiva. Lo stato di Operate (così come la correlata attivazione psicofisiologica connessa all’attivazione emotiva) viene reiterato fintantoché non è stato possibile raggiungere o recuperare le condizioni del sé e/o del mondo anelate o finché il soggetto non rinuncia al “bene prezioso” (rassegnazione ed accettazione), che la situazione problematica pone a rischio o ha già compromesso.

Da quanto appena affermato consegue che particolari iper-investimenti su specifici Scopi (condizioni del sé e/o del Mondo dotate di potere attrattivo) possono esasperare le risposte emotive individuali di distress di fronte alla minaccia o alla compromissioni di tali condizioni anelate, non permettendo un’ACCETTAZIONE più sana e flessibile delle eventualità esistenziali sulle quali il controllo del soggetto è ridotto o assente. L’iper-investimento soverchio su particolari condizioni del sé e/o del mondo (scopi come, ad esempio, il rango e l’ammirazione, la dotazione di poteri intellettuali, la protezione e la guida da parte di una figura di riferimento, il benessere economico, la salute, la bellezza, ecc.) deriva, a sua volta, dal fatto che esse sono reputate dal soggetto agente (in funzione delle proprie esperienze di apprendimento) come assolutamente necessarie per la realizzazione dei propri bisogni psicologici di base (es.: autostima, Self-determination/Agency, ecc.). Nei casi patologici, da tale iper-investimento può derivare una strutturazione eccessivamente rigida delle “regole cognitive” (vie strategiche) circa la possibile realizzazione dei propri bisogni di base e/o dell’architettura degli scopi strumentali e terminali, funzionali a garantirsi una sufficiente soddisfazione rispetto ai suddetti bisogni. La percezione di minaccia o compromissione di tali scopi sovraordinati, conseguentemente, innesca risposte emotive soverchie e pervicaci, in quanto, il fallimento dei sopraindicati goals è vissuto dal soggetto come catastrofico e, dunque, inaccettabile.

Come ben indicato da Albert Ellis, infatti, quando una preferenza, rispetto alla realizzazione di una specifica condizione (scopo) del sé e/o del mondo (es.: il possesso di “poteri” estetici speciali e la conseguente ammirazione da parte degli altri), diviene una necessità assoluta (“O Roma o morte!”), in quanto percepita come assolutamente imprescindibile per soddisfare i propri bisogni di base (es.: la stima di sé), le emozioni (segnali di allarme rispetto allo stato dei propri scopi) si esasperano (distress) nella loro intensità e frequenza e, con esse, le correlate condotte di evitamento o, al contrario, di perseguimento sistematico.

Di fronte alla percezione di minaccia o danno a scopi iper-investiti l’individuo si attiverà sul piano emotivo e cognitivo (attenzione, previsioni negative con funzione preparatoria, controllo iper-prudenziale delle ipotesi di pericolo, ruminazioni, ecc.) in modo particolarmente intenso e perdurante. Il soggetto, dunque, non dovrà, conseguentemente, gestire solo la condizione perturbante i propri scopi ma anche se stesso (emozioni, attività mentali, reazioni fisiologiche, impulsi all’azione, ecc.), al fine di recuperare un’omeostasi funzionale a riacquisire un’ottimale condizione di auto-governo. Non di rado però il tentativo di amministrare la propria attivazione interna diviene un compito non agevole (soprattutto per chi non è stato aiutato a sviluppare un repertorio funzionale di strategie di auto-controllo efficaci) e può dare adito, conseguentemente, a forme disfunzionali di coping delle emozioni e delle attività mentali, quantomeno a medio e/o a lungo termine seppur apparentemente utili nel brevissimo periodo come, ad esempio, l’evitamento, l’acting-out, l’uso di sostanze con funzione “calmante”, ecc.

Il poter ridimensionare un iper-investimento su uno o più scopi esistenziali riconducendolo da una necessità assoluta (percepita) ad una preferenza è dunque un intervento cruciale nell’Approccio CBT. Tale procedura di DE-CATASTROFIZZAZIONE e RIDIMENSIONAMENTO offre la possibilità di aumentare la flessibilità psicologica del soggetto, di migliorare il suo adattamento alle eventualità esistenziali avverse (rende possibile l’ACCETTAZIONE) e di rimodulare le risposte emotive disagevoli, riducendo il distress emozionale soverchio.

Più uno scopo terminale è sovrainvestito, dunque, di valore e potere attrattivo, ad esempio quando non esistono nella mente del soggetto alternative ad esso, più risulteranno intense, frequenti e persistenti previsioni negative e pessimistiche (BETTER SAFE THAN SORRY!), reazioni emotive vigorose, condotte di evitamento o perseguimento soverchie

Vediamone un esempio:
Orgoglio di Sé (BISOGNO DI BASE)
é
Rango riconosciuto (SCOPO TERMINALE)
é
Ammirazione (SCOPO STRUMENTALE 2)
é
Possesso di grandi “poteri” (SCOPO STRUMENTALE 1)

Se, dunque, l’orgoglio per me stesso (AUTOSTIMA), oltre a dipendere dal possesso di “grandi poteri” (per ottenere poi ammirazione e rango) fosse anche in relazione all’essere una brava persona (DIGNITÀ ETICA) ed alla capacità e disponibilità nel prendermi cura del bene altrui (ACCUDIMENTO), allora potrei immaginare con minore drammaticità l’idea di rivelarmi un minus (INADEGUATEZZA). Per alcune persone, invece, tale eventualità sarebbe peggiore della morte. Dunque, se una condizione del sé e/o del mondo (SCOPO) viene connotata come “O Roma o morte!”, allora, la sua compromissione (o la previsione della stessa) sarà vissuta dal soggetto agente come e quindi si avranno: (a) previsioni pessimistiche, (b) attenzione selettiva sui segnali confirmatori (stabilizzazione di circoli viziosi intrapsichici ed interpersonali), (c) stato emotivo di allerta soverchio e (d) condotte difensive o di perseguimento soverchie, ossia, tutte condizioni di funzionamento scarsamente manipolabili in modo diretto, in quanto attività aventi la funzione di stabilizzare, “con le unghie e con i denti”, l’ottenimento della posta in gioco e di evitare, a tutti i costi, la sua compromissione. Generalmente risulta poco efficace, infatti, tentare di “rassicurare” il soggetto con procedure di de-biasing, dal momento che, solo se il paziente aumenta il livello di rischio accettato investe meno nella attività preventiva, quindi, si insediano nel suo funzionamento processi cognitivi meno prudenziali che generano minore “resistenza” al cambiamento delle assunzioni di minaccia.

È necessario, quindi, piuttosto aiutare il paziente a considerare e/o sperimentare attivamente (ESPOSIZIONE) di vivere senza la condizione anelata e di realizzare comunque i propri bisogni di base e i propri valori identitari sviluppando vie alternative rispetto a quella fino ad oggi iper-investita.

Il tema dell’accettazione è dunque cruciale in questa prospettiva. Ma accettare cosa? Dal nostro punto di vista non solo l’esperienza interiore impulsi, sensazioni, pensieri, emozioni, ecc., ma anche e soprattutto la possibile compromissione di una condizione del sé e/o del mondo iper-investita di valore strumentale rispetto alla realizzazione di uno o più bisogni di base come, ad esempio: rango, accudimento ricevuto, dignità etica (essere colpevole), libertà di scelta, evitamento delle “fregature”, ecc.

La questione da affrontare con il paziente è, dunque:

E se si realizzasse proprio quello che più temi, ossia, se tu fossi un minus o brutto o povero o marginalizzato o colpevole di gravi omissioni, ecc., come potresti fronteggiarlo? Come sarebbe la tua vita? In che modo potresti realizzare comunque i tuoi valori ed avere una vita dignitosa, significativa e, magari, anche gradevole?

SPERIMENTIAMOLO

Stress, appraisal e coping: distress emozionale e malattia psicosomatica

Secondo Lazarus (1991) esistono 2 vie attraverso le quali la malattia è influenzata dallo stress associato agli eventi problematici della vita. In primo luogo, le emozioni coinvolte nelle situazioni stressanti possono risultare direttamente in disturbi fisici. Questo è il caso di emozioni negative marcate e prolungate nel tempo che, provocando modificazioni negli equilibri psicofisiologici, sono in grado di produrre disturbi fisici obiettivabili soprattutto se nel soggetto agente è già presente una specifica DIATESI o VULNERABILITÀ.

L’effetto degli eventi non va inteso come diretto, ma come il frutto di stili disfunzionali nel fronteggiare e valutare le situazioni difficoltose e le emozioni che queste provocano nel soggetto.

Certi stili cognitivi tendono, infatti, ad influire pesantemente sulla durata e l’intensità degli eventi problematici, in funzione della loro azione sul modo di valutarli e di reagire ad essi. La cronicità o ricorrenza di questi stili possono alla lunga danneggiare la salute psicofisica

La seconda via attraverso la quale le esperienze stressanti possono influire sulla malattia è indiretta. In questa seconda ipotesi si considera il caso in cui il fronteggiamento inefficace può condurre a comportamenti dannosi, che sono in grado di influenzare pesantemente la salute. Ad esempio, quando lo stile valutativo e di fronteggiamento inadeguato è ricorrente o cronico, il soggetto può tendere al disadattamento e divenire incapace di raggiungere i propri scopi e incorrere spesso in situazioni di sofferenza emozionale gravosa, che potrebbe non essere necessaria se si attuassero valutazioni migliori degli effettivi ostacoli, della rilevanza degli eventi in gioco e delle proprie possibilità di superarli (Meichenbaum, 1990)

Inoltre, un’altra via indiretta di influsso sulla salute da parte delle esperienze stressanti è data dal fatto che alcuni individui tendono, di fronte all’incapacità di risolvere ed affrontare le difficoltà dell’esistenza ed il distress sollecitato, ad utilizzare comportamenti a rischio generalmente indirizzati a modulare le intense emozioni sperimentate, come l’assunzione di sostanze drogastiche, di farmaci, tabacco, alcolici, ecc. (Carver et al., 1989).

Da quanto appena detto si possono desumere alcune variabili psicologiche di cruciale importanza rispetto alla possibilità che gli eventi problematici e stressanti dell’esistenza possano essere fronteggiati senza particolari scossoni o, al contrario, possano implicare un grado di distress soggettivo talmente frequente, intenso e perdurante da porre a rischio l’equilibrio psicofisico del soggetto agente.

Principali variabili psicologiche cruciali nel rapporto Stress-Salute illuminate dalla ricerca CBT

  1. Il livello di iper-valenza delle previsioni sistematicamente pessimistiche relativamente alla presenza di una presunta (o reale) minaccia incombente e grave rispetto ai propri scopi più importanti. Tali appraisal iper-prudenziali (“better safe than sorry”) sono generalmente associati all’azione di bias cognitivi sistematici, ben formalizzati da Beck e coll. Una presenza soverchia di tali bias cognitivi ha l’effetto di rendere la percezione di minaccia ai propri scopi iper-generalizzata, come anche la correlata attivazione emotiva e psicofisiologica, che in tal caso può divenire eccessivamente frequente, intesa e perdurante (distress emozionale e psicofisiologico).
  2. La forza delle convinzioni di auto-efficacia, come anche quelle relative alla propria capacità di auto-determinazione, in grado di rendere il fronteggiamento delle diverse situazioni problematiche e stressanti dell’esistenza più o meno agevole e sereno.
  3. Il grado di iper-investimento su particolari condizioni del sé e/o del mondo.
  4. La presenza o meno nel repertorio cognitivo-comportamentale del soggetto agente di interessi intrinsecamente motivanti e/o valori esistenziali e/o ideali etici che possano fornire significato alla sua vita anche di fronte al fallimento più o meno parziale o, addirittura, alla radicale compromissione dei propri scopi e “beni preziosi” (compresa l’integrità fisica).
  5. La maggiore o minore capacità di accettazione di sé e degli altri e di compassione (perdono, tenerezza, sollecitudine, ecc.) anche di fronte a colpe o inadeguatezze, che possano aver condotto al fallimento rispetto alla realizzazione e/o alla tutela di condizioni del sé e/o del mondo reputate necessarie o doverose.
  6. La possibilità, più o meno spiccata, di accettare possibili ingiustizie (es.: licenziamento immeritato, perdita precoce di un partner, ecc.), riuscendo ad andare oltre rispetto a tali esperienze dolorose ed a reinvestire su nuovi scopi ed obiettivi, al fine di tentare in ogni caso di realizzare ancora i propri valori esistenziali ed identitari. Tale opportunità è frutto altresì della capacità di ridimensionare le proprie pretese e diritti, spesso dati per scontati, ineludibili ed assoluti.
  7. Il livello di sviluppo delle capacità individuali di regolazione delle emozioni, suscitate dalla situazione problematica e stressate, e di autocontrollo degli impulsi, funzionali a ridurre la probabilità di incorrere in modalità di gestione delle emozioni improprie o disfunzionali, quantomeno a medio e lungo termine, come l’uso di sostanze psicoattive, le condotte di addiction, le alterazioni patogene delle condotte alimentari, la dipendenza sociale, ecc.
  8. La possibilità, più o meno spiccata, di percepire, riconoscere, regolare ed accettare, senza particolare timore o avversione, le proprie emozioni (non reprimerle, non nasconderle, non tentare di “spegnerle”, non rifiutarle, ecc.) e, nel contempo, utilizzarle per comprendere meglio i propri scopi e valori esistenziali e per comunicare in modo intimo ed assertivo con le altre persone.
  9. Il grado di tolleranza della frustrazione, funzionale a mantenere stili di vita salutogeni (ad esempio resistendo alle tentazioni) ed a persistere nel perseguimento di scopi faticosi e, a volte, scarsamente gratificanti nell’immediato presente, pure di fronte a contingenze stressanti.
  10. La perizia raggiunta rispetto alle abilità cognitive di soluzione dei problemi, funzionali a rendere il repertorio comportamentale del soggetto più ampio e flessibile di fronte ad una situazione percepita, quantomeno inizialmente, come soverchiante.
  11. La quantità ed il grado di sviluppo delle competenze sociali acquisite soprattutto nel rapporto con le proprie figure di riferimento (empatia, assertività, prosocialità, compassione, cooperazione, responsabilità, ecc.), utili a garantire la costruzione ed il mantenimento di buoni rapporti di cooperazione, affiliazione e supporto reciproco. Tramite queste abilità il soggetto ha la possibilità di ridurre i conflitti interpersonali, costruire legami affettivi intimi e soddisfacenti, affermare i propri desideri e preferenze nel rispetto di quelli altrui, risolvere problemi di natura sociale (es.: tramite la negoziazione) in modo più agevole ed ottenere più facilmente aiuto di fronte a situazioni problematiche e stressanti (disponibilità di supporto sociale).
  12. La possibile presenza di rinforzi molari alla condizione di disagio o malattia (es.: colite, psoriasi, capogiri, ecc.) correlata al distress emozionale, in grado di mantenere oltre misura la condizione di malessere, in virtù della funzione (spesso sul piano interpersonale) da essa acquisita, seppur in maniera non intesa e non voluta in modo palese

Specifici contributi CBT alla Psicoterapia Psicosomatica

Ad oggi, nell’ambito della CBT, abbiamo a disposizione un gran numero di procedure di intervento evidence-based, per poter agire sulle diverse variabili psicologiche, precedentemente elencate ed esplicitate, a vario titolo correlate con la salute e la malattia psicosomatica. Vediamone alcune.

La Rational Emotive Behavior Therapy (REBT) di A. Ellis (1989; 1993; 1998) per ridimensionare l’iper-investimento su particolari scopi ed obiettivi soggettivamente cogenti e per modulare le doverizzazioni soverchie e le pretese assolute che gli altri e la vita debbano necessariamente seguire specifiche regole di equità e giustizia e soddisfare i nostri bisogni e diritti

La Terapia Cognitiva Standard (TCS) di A. Beck (1984; 1988) per contrastare le previsioni negative, eccessivamente frequenti e pessimistiche, influenzate dall’azione soverchia di euristiche e bias cognitivi

La Schema Therapy di J. Young (2007) per modificare le convinzioni negative più profonde, ridondanti ed iper-valenti su se stessi, gli altri ed il mondo (es.: “Sono profondamente e radicalmente inadeguato e debole”, “Gli altri sono ostili e maldisposti”, “Sono fondamentalmente non amabile: devo, quindi, essere perfetto nelle cose che faccio così da meritare di far parte del consesso umano”, ecc.), responsabili a vario titolo del distress emotivo soverchio e non necessario sperimentato cronicamente da alcuni individui

La Compassion Focused Therapy (CFT) di P. Gilbert (2012) per incrementare gli atteggiamenti prosociali e di auto-validazione ed accettazione, anche di fronte a colpe rilevanti o a fallimenti per inadeguatezza, contrastando il dispregio verso gli altri come anche l’auto-disprezzo

La Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT) di Segal, Williams e Teasdale (2012) per aiutare il paziente a regolare volontariamente e funzionalmente l’attenzione, a modulare attivamente le emozioni soverchie, ad imparare a non farsi governare dagli impulsi e dalle emozioni, in modo da evitare, ad esempio, reazioni impulsive e sbrigative, atte ad ottenere un alleviamento momentaneo da attivazioni emozionali intense, frequenti e perduranti

La Dialectical Behavior Therapy (DBT) di M. Linehan (2001) per insegnare al paziente come regolare emozioni soverchie e sgradevoli, anche attraverso l’allargamento del repertorio comportamentale di skills funzionali a modulare l’intensità di tali attivazioni emozionali ed a comunicarle ed esprimerle appropriatamente

La Acceptance and Commitment Therapy (ACT) di S. Hayes e coll. (2005) finalizzata a: aiutare il soggetto ad accettare le proprie esperienze emotive (e gli impulsi all’azione correlati), senza rifiutarle o contrastarle (altrimenti la conseguenza sarebbe quella di esasperarle); favorire la messa a fuoco dei propri valori esistenziali, necessari per pianificare in modo efficace la propria vita; aiutare la persona ad accettare rischi immanenti e/o compromissioni di scopi soggettivamente cogenti, al fine di non compromettere, a causa della sofferenza soverchia, l’investimento attivo e proficuo sui propri valori più significativi

Lo Stress Inoculation Training (SIT) di D. Meichenbaum (1990) per favorire una funzionale consapevolezza e gestione delle risposte emotive e del distress psicofiologico

Il Neurofeedback ed il Biofeedback utili ad insegnare al soggetto come riconoscere, comprendere e regolare l’attivazione psicofisiologica correlata alle diverse risposte emotive

la Behavior Therapy, indirizzata a gestire le contingenze di rinforzo improprie eventualmente presenti nel milieu del paziente, capaci di mantenere, se non alterate efficacemente ed in modo clinicamente strategico, il disagio psico-fisico oltre misura (come, ad esempio, nei disturbi somatoformi); ecc.

La Problem-Solving Therapy di A.M Nezu e C.M. Nezu (2009), finalizzata ad accrescere le capacità del soggetto di comprendere la natura dei problemi interpersonali ed esistenziali che si trova a fronteggiare e di elaborare strategie “creative”, variegate e potenzialmente efficaci

SSPP: UN MODELLO TEORICO CLINICO INTEGRATO


Gli obiettivi della terapia psicosomatica integrata della SSPP includono pertanto la risoluzione del conflitto attraverso formazioni di compromesso più efficaci e adattive, il miglioramento della mentalizzazione con una maggiore comprensione delle proprie relazioni oggettuali interne, un’attenzione crescente ai processi automatici disadattavi e una correzione delle credenze disfunzionali individuali, una migliore capacità di capire se stessi e gli altri in modo sempre più consapevole, nonché una cognizione più efficace su ciò che avviene a livello mentale, corporeo e relazionale.

La terapia è idealmente volta ad ottenere una migliore qualità di vita (benessere psicofisico, miglior uso delle proprie competenze cognitive, tolleranza di una più ampia gamma di affetti, miglioramento delle strategie di coping, consolidamento delle risorse psicologiche, monitoraggio e diminuzione dello stress.

La SSPP istruisce i propri allievi alla pratica psicoterapeutica attraverso l’uso dei principali strumenti che caratterizzano una moderna psicoterapia psicosomatica:

– la costruzione del setting e dell’alleanza terapeutica;

– la valutazione della personalità e della condizione psicosomatica (diagnosi, assessment del deficit e delle risorse individuali, prognosi e strategie psicoeducative di modificazione del comportamento);

– il colloquio psicoterapeutico psicosomatico basato sulle competenze della medicina psicosomatica e della psicopatologia dello sviluppo;

– la costruzione dell’alleanza terapeutica sulla base della chiarificazione, confrontazione, esplorazione delle memorie traumatiche del paziente;

– la mentalizzazione del mondo interno e dei processi immaginativi attraverso l’analisi dell’esperienza onirica;

– l’applicazione di specifiche tecniche cognitivo comportamentali con lo scopo di aumentare il mastering del sintomo e l’autoregolazione (Biofeedback, EMDR, Mindfulness)

– l’applicazione di specifici interventi di modificazione del comportamento (sociale, psicofisico, alimentare) a favore della salute e del benessere personale, della medicina comportamentale;

– l’analisi delle dinamiche del transfert-controtransfert e degli enactment nella relazione interpersonale terapeutica, degli affetti consci e inconsci che si producono nel setting, compresi i correlati psicocorporei;

– la valutazione nel paziente dell’arousal individuale, degli affetti disregolati e delle espressioni psicosomatiche e sensomotorie a favore del distress e della regolazione delle emozioni negative e dei correlati corporei;

– l’uso e il timing dell’interpretazione basato sulla competenza delle dinamiche relazionali e dell’empatia;

– la valutazione del processo e dell’esito del percorso terapeutico sulla base della ricerca in psicoterapia.

 

Pertanto l’allievo è formato a intervenire nelle fasi processuali del caso trattato sulla base di un ragionamento clinico psicosomatico, con la regolazione dell’empatia attraverso la valutazione delle dinamiche interpersonali nel setting e un’efficace sintonizzazione con le memorie traumatiche riattualizzate, con le emozioni e con gli stati psicosomatici del paziente.

Allo scopo di favorire le best practices professionali metodologicamente fondate, corrispondenti alle diverse fasi del percorso terapeutico – dalla fase diagnostica a quella conclusiva – obiettivo formativo della SSPP è l’insegnamento di metodologie teorico-applicative per valutare – anche empiricamente – l’alleanza terapeutica, l’andamento del processo terapeutico psicosomatico e l’efficacia dell’intervento stesso.

Training clinico: Analisi personale, Tirocinio ospedaliero, Supervisione di gruppo e Supervisione individuale dei casi

Al momento del colloquio di iscrizione alla SSPP, si suggerisce agli allievi di sottoporsi, in modo facoltativo, a un’analisi personale con uno psicoterapeuta di qualsiasi formazione, non appartenente alla Scuola, di almeno 30 ore al 1° e al 2° anno di corso, per un totale di 60 ore, ai fini di migliorare le competenze individuali per la mentalizzazione nel lavoro clinico. 

– Per ciascuna delle 4 annualità di formazione sono previste 300 ore di lezioni frontali teoriche all’anno.

– Per ciascuna delle 4 annualità anche 50 ore di supervisione clinica di gruppo all’anno nell’ambito delle attività accademiche.

– Per ciascuna delle 4 annualità di formazione è previsto un tirocinio ospedaliero presso l’Ospedale Cristo Re di Roma o presso i Servizi regionali o nazionali convenzionati con Humanitas, di 150 ore all’anno.

– Al 3° anno e al 4° anno di corso l’allievo dovrà portare in Supervisione individuale 4 casi seguiti professionalmente, per un minimo di 30 ore all’anno, con 2 differenti didatti della SSPP.

– Tra i 4 casi supervisionati, l’allievo ne sceglierà 2 per elaborare le 2 tesi di specializzazione finale, in forma di articolo scientifico su un single case.  

Il programma del training clinico permette di formarsi alla valutazione dei casi clinici e all’intervento in tutte le fasi del processo, unitamente alla verifica del modo in cui si utilizzano personalmente nel setting le conoscenze teoriche e applicative apprese, le competenze metodologiche e relazionali e le capacità tecniche nell’ambito del lavoro clinico psicosomatico, durante tutto il quadriennio di specializzazione.

ANNOLEZIONI TEORICHESUPERVISIONE CLINICA
DI GRUPPO
TIROCINIOANALISI
PERSONALE
SUPERVISIONE CLINICA
PERSONALE DI 4 CASI CLINICI
ore 300ore 50ore 150ore 30\
ore 300ore 50ore 150ore 30\
ore 300ore 50ore 150\ore 30
ore 300ore 50ore 150\ore 30
- Lezioni frontali teoriche (1200 ore) +
- Supervisione clinica di gruppo (200 ore)
- Tirocinio (600 ore)
Totale ore di lavoro teorico-clinico nei 4 anni di specializzazione = 2000 ore
Totale ore di lavoro teorico+clinico di gruppo+ tirocinio all’anno = 500 ore
- Analisi personale (60 ore da svolgersi nel I° e 2° anno)
- Supervisione personale dei casi clinici seguiti professionalmente
dall’allievo (60 ore da svolgersi nel 3° e 4° anno con un didatta della SSPP)
Totale ore di lavoro clinico personale all’anno = 30 ore
Totale ore di lavoro clinico personale nei 4 anni di specializzazione = 120 ore

Esame Finale di Specializzazione:

presentazione e discussione di una Tesi di Specializzazione, costituita di 2 casi clinici elaborati in forma di articolo scientifico su un single case, di massimo 15 pagine compresa la bibliografia.